Nella mia famiglia questo dolce, “u grane cuutt“, come lo chiamava mia nonna, veniva preparato una sola volta l’anno, in occasione della festività “dei morti” ed è forse l’unico piatto tradizionale della cucina foggiana che ancora oggi conserviamo, anche se ormai nessuno di noi vive più in Puglia. Così ancora lo prepara mia madre, nel Lazio, mia zia in Campania, lo preparo io in Sicilia e mia sorella in Veneto. E una caratteristica che sembra unire tutti è che questo dolce piace solo ai pugliesi originali. Non lo mangiano infatti le mie nipoti vicentine e nemmeno i nostri amici siciliani. E anche Clara era abbastanza perplessa, all’inizio.
Perché, in effetti, è un dolce molto dolce. Preparato inizialmente con ingredienti poveri, si è andato arricchendo nel corso degli anni, diventando l’equivalente della cassata siciliana, ma in una versione più contadina, meno sfarzosa.
E anche il nome del piatto, che non va più oltre di un prosaico grano cotto, una descrizione asciutta ed essenziale, è indicativo delle origini schiette di questo dolce (anche se le tracce riportano indietro alla Magna Grecia), che veniva preparato con grano tenero, chicchi di melagrana e noci ed addolcito con qualche cucchiaiata di vin cotto, perché ai tempi lo zucchero non si usava. Ma già quando noi eravamo bambini, la ricetta si era espansa e comprendeva anche cioccolato in pezzi e cedro candito a cubetti. E, come spesso accade per le cose che riportiamo a galla dalla memoria, questo piatto mi fa tornare in mente che, da bambino, mi veniva affidato il compito di sgranare la melagrana. Come dire che mi occupavo di una parte della mise en place…
Come si sarà capito dall’elenco degli ingredienti, la difficoltà più grande della realizzazione del grano cotto è quella di riuscire a procurarsi il vino cotto (mosto cotto) ovvero il risultato della riduzione a caldo del mosto d’uva. Riduzione nel senso che da 10 litri di mosto si ottiene circa un litro di vin cotto. Fino a qualche anno fa, al di fuori della zona del foggiano, dove era un ingrediente reperibile in quanto fondamentale per il dolce, era praticamente introvabile. Tant’è che mia madre, quando ci trasferimmo in Sicilia, per alcuni anni lo sostituì, usando lo sciroppo di granatina. Ma non era la stessa cosa…
Oggi invece il mosto cotto lo si trova, seppure con qualche difficoltà, perché è diventato un ingrediente gourmet, da usare al posto della glassa di aceto balsamico su formaggi stagionati ed insalate. E come tale il costo è salito vertiginosamente, tra l’altro…
La ricetta del grano cotto è semplice: si cuoce il grano, lo si lascia raffreddare e si aggiungono gli altri ingredienti.
Ci sono però un paio di tecniche interessanti che vale la pena menzionare.
La prima riguarda la cottura del grano.
Mia madre metteva a bagno il grano almeno 24, se non addirittura 36 ore prima di cuocerlo e lo cuoceva per circa un’ora. 30 minuti se utilizzava la pentola a pressione. Il risultato era che il grano si cuoceva ma una grande quantità di amidi si scioglieva nell’acqua di cottura, rendendola lipposa, ovvero abbastanza viscida. Una volta scolata via il problema era risolto ma…
Ma invece un paio di giorni fa, mentre cercavo la ricetta su internet per avere la conferma che si usasse il grano tenero e non, che so, il farro, sono incappato in un paio di siti che illustravano quella che sembra essere una tecnica di cottura passiva di origini remote. Che immediatamente ho voluto testare, ovviamente. La tecnica, indicata qui e qui, prevede la cottura del grano sul fuoco per 7 minuti (!) ed una successiva cottura passiva ottenuta avvolgendo la pentola con vecchi giornali e una coperta di lana, per ridurre la dispersione di calore.
Che dire? La tecnica funziona… più o meno. Nel senso che dopo i 7 minuti ed il primo raffreddamento col plaid il grano non era ancora del tutto pronto (molto probabilmente perché avendone preparato solo 200 gr, la massa complessiva non era sufficiente a trattenere il calore abbastanza a lungo). Allora ho ripetuto la cottura per altri 14 minuti e lasciato raffreddare senza coperta. E stavolta il risultato è stato eccellente. Inoltre tutta l’acqua è stata assorbita durante il raffreddamento e quindi non vi è stata dispersione di amido. Da riprovare e calibrare meglio.
La seconda tecnica riguarda lo sgranamento della melagrana, che a me, sin da piccolo ha sempre richiesto circa 15-20 minuti. Un’attività di quelle che o ti fai piacere, stile esercizio Zen, o ti fanno impazzire…
Bene, anche in questo caso, qualche giorno fa, sul sito di una blogger ho trovato un suggerimento mai sentito prima: utilizzare una bacinella d’acqua. Ovvero, sgranando il frutto nell’acqua i chicchi si separano più velocemente, non ti sporchi e soprattutto l’intera operazione si conclude in due o tre minuti.
La tecnica funziona? Eccome!! Una riduzione dei tempi da 5 a 8 volte!!
L’unico inconveniente è che – se non si consumano tutti i chicchi subito – bisogna asciugarli con della carta assorbente, prima di conservarli.
Ma è un piccolo prezzo da pagare per un così grande passo per l’umanità…
- 200 gr di grano tenero
- 70 gr di cioccolato fondente
- ⅞ gherigli di noce
- i chicchi di una melagrana di grandezza media
- 1 pezzo di cedro candito
- 2 tazzine da caffè di mosto cotto
- le zeste di mezzo limone o, in alternativa, un cucchiaino di cannella in polvere.
- un pizzico di sale
- Cuocere il grano mettendolo in una pentola pesante, coperto da almeno un paio di dita d'acqua e un pizzico di sale. Portare ad ebollizione e lasciare cuocere circa 10/12 minuti. Spegnere il fuoco, avvolgere la pentola con vecchi giornali e poi con una coperta di lana o un plaid, e lasciare raffreddare.
- Spezzettare grossolanamente il cioccolato ed i gherigli di noce.
- Cubettare il cedro candito alla misura leggermente più grande di un chicco di melagrana.
- Scolare (se necessario) il grano raffreddato ed aggiungere tutti gli ingredienti solidi: cioccolato, chicchi di melagrana, pezzetti di cedro.
- Mescolare ed unire il mosto cotto.
- Aggiungere le zeste di limone grattugiate finemente (se avete la microplane, usatela!) e mescolare il tutto con un cucchiaio.
- Lasciare insaporire per almeno una mezz'ora e servire.
veramente se lo faccio qui piace a tutti, quest’anno non l’ho fatto, perché se no me lo mangio tutto e non è il caso, ma mi manca, questa tradizione e questo filo che ci lega.
sembra la cuccìa che fanno qua a Palermo per Santa Lucia, è proprio la lipposità che mi scoccia un po’ ma magari provando con il metodo innovativo di cottura potrei apprezzare questo antico dolce 😉
Grazie
Cla
p.s.: non conoscevo il metodo di sgranare la melagrana in acqua duevoltegrazie 🙂
IP ne sa una più del diavolo :-))
bacibaci mia cara
Sono di foggia e continuo la tradizione trasmessa da mia madre ,cuocio il grano nella pentola a pressione ,senza metterlo a bagno,lo lascio nell acqua sino a che non si raffredda poi lo passo sotto l acqua per togliere tutta la parte lipposa buon appetito
Grazie per il suggerimento. Proveremo anche questo procedimento.
Grazie della ricetta! Vivo a Cipro e qui, come in tutto l’est Europa ortodosso, questo dolce si prepara in occasione di tutte le messe in memoria dei defunti… Si porta in chiesa e poi si distribuisce ai presenti alla fine della liturgia… Ed io cercavo giusto una ricetta in italiano! Grazie ancora 😉
vero anche noi a modena foggiani lo facciamo ancora la stessa ricetta cottura quasi un ora e menza
Posso sapere se per questa ricetta posso usare il grano cotto che si usa per la pastiera napoletana? Grazie
si, anche se quello di solito è stracotto per renderlo più morbido, per cui avrai un prodotto più pastoso, con una consistenza differente. Ma il sapore dovrebbe essere simile.
Avete mai provato a congelare il grano cotto condito già di tutto (ad eccezione del vincitto)? Si può fare? Ne ho fatto tanto e non vorrei si rovinasse. Vorrei conservarlo congelando e poi mangiarlo successivamente. Voi avete mai provato?
No, mi spiace, non abbiamo mai fatto questa prova
Anche noi in Sicilia lo apprezziamo molto in diverse varianti, mia mamma e mia nonna lo preparano immancabilmente perché la data di Santa Lucia del 13 dicembre è legata a due momenti importanti e felicissimi della loro vita: il ritorno di mio nonno dalla guerra ed il matrimonio di mia madre con mio padre. Ho letto che forse nel catanese non è in uso questa tradizione ma in tutta la Sicilia occidentale la prepariamo.
Questa cottura con la coperta lascia il grano troppo appiccicato e perde di corposità, meglio la cottura tradizionale e poi passato sotto l’acqua perde la parte opposta e mantiene il chicco ben definito