Carlo Petrini, una lezione di civiltà

Dopo avere ascoltato Carlo Petrini la vostra vita non sarà più la stessa. Almeno per qualche ora.

Non è stato solo l’aver trascorso un sabato mattina a sentirlo parlare di visione olistica del cibo, di gastronomia come punto di equilibrio tra sapere e conoscenza. E neppure avergli sentito dire che la gastronomia è “sapere che gode” (un mix fra scienza e piacere) e che “basta con questi termini desueti perché figli di un vecchio modo di concepire le cose come consumatore: molto meglio parlare di co-produttore”, termine che implica consapevolezza, compartecipazione, presenza con i cinque sensi. Oppure sentirgli sciorinare numeri da capogiro, che pure da qualche parte avevamo già letto ma che risentire fa sempre venire i brividi, sul cibo che va sprecato ogni giorno in Italia – 4 mila tonnellate buttate via ogni santo giorno, dal 1 gennaio al 31 dicembre – e nel mondo – il 40% della produzione totale.
Non è stata la riflessione conseguente, ovvia e tagliente come solo una lama affilata può essere, che da tempo ormai il cibo non ha più un valore ma solamente un prezzo. O sostenere con forza l’importanza della gastronomia come scienza universale che si concilia con l’economia della sussistenza ma che può incidere sull’economia di un paese e sulla sua socialità.

E’ stato il modo in cui ha raccontato tutte queste cose all’affollata platea dello Steri durante una delle lezioni aperte del Master in Cultura della Comunicazione e del Gusto.
E’ stato vedere la convinzione, la forza carismatica di quest’uomo che pure già conosci dai filmati che vedi in rete o dalle dichiarazioni che leggi. Ma ascoltarlo dal vivo è tutta un’altra storia. Come assistere ad un sermone tenuto personalmente da un combattivo Mosè, la cui retorica priva di fronzoli riesce a trascinarti e coinvolgerti tanto da farti chiedere ad un certo punto “ma perché sto ancora qui seduto e non sono fuori a fare qualcosa pure io?”

Fondamentalmente oggi non ha raccontato nulla di nuovo – ne siamo consapevoli – ma nuova sarà l’elaborazione e l’utilizzo che faremo noi delle esperienze che gli abbiamo sentito raccontare. Le sue, innanzitutto, come fondatore di Slow Food e come ideatore di Terra Madre, una rete che riunisce 10 mila comunità in 173 paesi, mettendo inseme tutti coloro che fanno parte della filiera alimentare con l’unico obiettivo di preservare gusto e biodiversità, trasmettere saperi e competenze. Ma anche le esperienze di chi, dalle montagne Andine al più povero paese africano, lotta ogni giorno per difendere il proprio fazzoletto di terra, la propria barca da pesca, il proprio allevamento. Osservare le immagini di un video girato durante l’ultimo appuntamento di Terra Madre, vedere migliaia di contadini, allevatori, agricoltori, pescatori, di tutto il mondo riuniti sotto uno stesso tetto a confrontarsi, scambiarsi esperienze, trovare un linguaggio comune che è quello della produttività nel rispetto della biodiversità, è stata una bella lezione di civiltà. Di quelle che non ti insegnano nelle scuole, purtroppo.

Qualcuno dei contadini intervistati ha detto che la vera libertà sta nella capacità di produrre cibo senza dover dipendere dalle multinazionali. Una sacrosanta verità se confrontata con la realtà che l’80% delle sementi nel mondo sono in mano a cinque multinazionali che fanno il prezzo che vogliono. Petrini invoca lo scambio, il sostegno, il baratto. Nel nostro piccolo condividiamo e siamo pronti.


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