Il mistero del vino del contadino

contadino

photo di stargazer.it

Avete presente il contadino? Sì proprio lui, quello che le sue verdure sono più buone. Quello che fa l’olio speciale, che alleva i polli ruspanti che al supermercato se li sognano. Quello che se lo avvisi prima ti fa trovare il capretto o l’agnello che più buoni non si può. Lo stesso contadino la cui moglie fa le conserve da urlo, che ti vende il pane del paese che solo lui sa dove trovare. Quello che una volta l’anno ammazza il maiale e ne tira fuori salumi prelibati. Lui, esatto. L’uomo che quando arrivi vuole farti bere l’uovo appena cacato, pardon, deposto dalle sue galline. Il contadino per antonomasia, per eccellenza. L’archetipo del saper fare. Di quelli che ti fanno venir voglia di lasciare tutto e cominciare anche tu a zappare e coltivare.
Ognuno di noi ha incontrato un contadino così. O ne ha sentito parlare. O se lo è immaginato, sentendo i racconti degli amici fortunati che una volta, mentre guidavano senza meta per strade provinciali e secondarie, si sono imbattuti nella sua magica fattoria.
Ora, si da il caso che un insolito mistero avvolga questo personaggio, dovunque vi sia capitato di incontrarlo, che sia al sud o al centro o al nord della penisola. Il mistero è nel suo vino. Perché quest’uomo, che nasconde nel frigo il miglior limoncello del mondo (o mirto, o nocino, o rosolio che preferite) produce invariabilmente un vino, fatto esclusivamente con le uve della propria vigna, che… fa schifo. Che è quanto di più simile al cherosene sia possibile trovare in natura. Produce un vino rosso da 22 gradi ed un bianco che è davvero indistinguibile dal gasolio. E non importa se ci ha messo o meno lo zolfo: lo assaggi e ti senti muorire.

E allora io mi domando perché? Come mai questo singolo prodotto artigianale non si avvicina mai nemmeno lontanamente a quello prodotto “industrialmente” dalle grandi aziende vinicole? Perché al Contadino gli riesce tutto meglio tranne il vino? Perché?
Com’è che persino il Tavernello (con tutto il rispetto, parliamo del vino da tavola di largo consumo, di quelli nei brick di cartone, una marca vale l’altra) sembra più buono del vino del contadino? Che avrà pure sincero carattere, spiccata personalità, gusto deciso ma che sembra più adatto a riempire la tanica del motorino piuttosto che stare in bottiglia sulla tavola.
E alla fine si fa strada un dubbio. Perché noi del Contadino ci fidiamo.
Ma non è che per caso il vero vino è quello del contadino? Non è che per caso quello che paghiamo decine di euro per ogni 75cl (a proposito, si è mai visto un contadino che vi vende il vino a multipli di 75cl? No, vero?) è qualcosa che nessun Contadino riuscirebbe a riprodurre, partendo da semplice uva? Insomma, non è che per caso il vino, quello buono, è come… orrore e raccapriccio… come la Coca Cola? No, perché per quanto ci possa provare e riprovare, nessun contadino riuscirà mai a riprodurre la coca cola. Non c’è verso.

vino del contadino

photo by Fattoria La Maliosa

Non so. Forse mi sfugge qualcosa. Certo è che ai tempi dei romani – grandi consumatori di vino – la bevanda veniva addolcita col miele… magari forse allora era più simile al vino del contadino che ai nostri attuali syrah, cabernet, merlot, nerelli, baroli etc etc. Che per carità sono deliziosi e fruttati e tannici e pieni di sentori di frutti di bosco e di carruba e senti i pomeriggi di sole in collina e le fresche notti di luna piena estiva… ma che adesso comincio a pensare siano un po’ come la coca cola. Nel senso che nascondono una formula segreta, un trattamento innaturale studiato da esperti di chimica, e raffinato nel corso degli anni. Il che non significa che vi sia dentro qualcosa di strano o di proibito, ma che, semplicemente, le possibilità che naturalmente un grappolo d’uva si trasformi tramite fermentazione in un bicchiere di amarone sono le stesse che ho io di riuscire a vincere il super enalotto senza giocare la schedina.

Ma magari mi sbaglio. E da qualche parte c’è un contadino che riesce a fare un vino superlativo, migliore di quello che si riesce a trovare al supermercato. Speriamo.


11 thoughts on “Il mistero del vino del contadino

  1. ho letto con molta attenzione questo post perchè mio suocero è il tipico contadino di campagna da te descritto…dedito all’orto, geloso custode dei suoi ulivi ed orgoglioso della sua piccola vigna dai cui frutti riesci a ricavare un vino delizioso (sia bianco che nero) pur non avendo mai studiato enologia…altro che Tavernello!
    ciao
    Silvia

    • Che sollievo. Lo speravo, che da qualche parte ce ne fosse uno! Perché a me finora sono capitati sempre e solo quelli che “tieni, assaggia questo vinello, è genuino, fatto con l’uva pestata a piedi nudi. Buono vero?”. Ai quali dopo il primo sorso sei costretto a dire “Ammazza. Forte, sto vino. No grazie, basta così, a pancia vuota/piena (a secondo del caso) preferisco non bere. E poi devo guidare, sennò mi tolgono i punti dalla patente”. 🙂

  2. Ahahah condivido in pieno. Il vino del contadino, mi spiace dirlo, ma fa schifo.
    Sarà pure fatto con amore, ma ciò non toglie sia imbevibile.
    Ma sai qual è il punto? Che a chi lo beve abitualmente piace.
    Io sono mezza romagnola e i miei zii ancora lo fanno.
    E anche i miei suoceri calabresi.
    E per loro è il non plus ultra.
    Peccato che io invece, quando sono a mangiare da loro, mi devo spacciare per astemia O_o
    E alla fine è come dici tu, non è questione di formule strane, ma solamente di attrezzature specifiche e controlli mirati.
    Per tutto il resto ci sono le tradizioni e i metodi empirici, ma per il vino mi sa proprio non ce la si può fare…. 🙂

  3. Isaia, che l’ironia sia con noi!

    Come fai osservare, l’industria enologica produce un vino fortemente standardizzato. Sotto lo stesso marchio centinaia di migliaia di bottiglie usciranno anno dopo anno con lo stesso gusto.
    E per un prodotto naturale soggetto a così tante variabili (ma quest’anno ha piovuto quanto l’anno prima? E quanto caldo ha fatto? E quando abbiamo vendemmiato, ecc. ecc.), ciò induce qualche riflessione.

    Il tuo post si incentra invece su una figura, il coltivatore, che è bravo a coltivare, ha imparato a insaccare (ed è arte sì preziosa, ma certamente non alchemica nella sua complessità), ma il vino non gli riesce bene.

    Il vinificare (ehi, esiste una parola apposita! Ops… e lattugare, o olivare… perché non ci sono?), per quanto ci può venire incontro in aiuto Google, è un’arte che per trasformare (ops, una parola chiave) l’uva in vino richiede una perizia, gusto, e sicuramente anche passione, che non mi è capitato di ravvisare nella figura del Contadino da te tanto efficacemente descritto.

    D’altronde ho incontrato qualche persona che invece di coltivare lattughe (troppo facile), ha coltivato uva, gusto e perizia.
    Di solito si chiamano vinificatori.
    Se gli chiedi le lattughe… boh, guarda nell’orto dietro la vigna.

    • Diciamo che la definizione che hai dato dei vinificatori, di “perizia” assieme a “gusto”, con l’enorme margine di discrezionalità e personalizzazione che queste due voci comportano, permette di aggirare qualsiasi ipotesi di confronto scientifico. Uno potrebbe pensare che, per esempio, se divido le uve di una vigna in due metà e le mando a due laboratori (ops, volevo dire cantine) diversi, fornendo loro un disciplinare di produzione identico… dovrei riuscire ad ottenere due vini assolutamente indistinguibili. Cosa di cui ahime, dubito.
      Ma la verità è un’altra. E’ che il vino è davvero ormai un prodotto hi-tech, per la cui produzione si fa largo uso di tecniche e trattamenti di “raffinazione”. Fra misurazioni di brix, flocculanti, coadiuvanti e precipitanti (fra cui, gelatina, caseinato di potassio, polivinilpolipirrolidone, bentonite, carboni, sol di silice, caolinite, ferrocianuro di potassio) le cantine sono più simili a raffinerie industriali che ai luoghi da fiaba nei quali ancora ci illudiamo venga prodotto il vino che beviamo.
      Beviamo un vino per sottrazione, al giorno d’oggi. Meno metalli, meno, fenoli, meno tannini, meno proteine, meno colloidi. Nel vino fatto in casa… tutte queste sottrazioni non si sanno e non si possono fare. Ecco perché le due bevande sono così differenti.

      • Sono molto spiacente se son per sbaglio caduto in affermazioni non falsificabili. Lungi da me il ricorrere ad artifici retorici.

        Ripropongo il concetto in modo più netto: il “contadino” di cui parli tu è semplicemente un incompetente 🙂

        Esiste la possibilità di produrre il vino con lo stile del contadino che ben descrivi tu, e ottenere un buon prodotto.
        Con competenza, pazienza (anni di fallimenti!), coraggio (mandare al diavolo il nonno che faceva il vino del vero contadino) e soprattutto gusto.

        Dell’affermazione “Ma la verità è un’altra.”, dubito. Ci sono produttori, che la falsificano.

  4. Vi prego di soffermarvi su una celebre frase di un libro di Veronelli, che pressappoco dice : “Il peggior vino del contadino è migliore del miglior vino industriale”. Io bevo entrambi senza pregiudizi, però il vino industriale (di buona qualità) mi causa sempre problemi gastrointestinali. Quello “fatto in casa” da un amico “contadino” no. Credo che il proprio corpo in questo caso sia il miglior giudice.

      • veramente dice….il vino del contadino lo può bere solo il contadino…..morale…..buono o cattivo che sia per lui sarà sempre buonissimo…ma dato che la maggior parte dei vini del contadino non sono bevibili….io sposo la tesi che per fare il vino ci vuole arte…..e locali giusti…

  5. Allora:l’olio è una spremuta do olive, il vino non è succo d’uva,va lavorato e con competenza.E questo possono possono farlo sia i”contadini” (personalmente ho assaggiato, anche se raramente, ottimi vini fatti da vignaioli non professionisti) sia professionisti che possono contare su molti soldi da investire in ricerca e innovazione. Ma ricordiamo anche le varie schifezze a 1 euro ben imbottigliate ed etichettate…

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