Io questo non lo mangio…

photo by wnd.andreas

C’è un periodo della vita, solitamente quello che va dai 3 ai 12-13 anni, nel quale il gusto per gli alimenti va formandosi ed affinandosi. Alcuni sapori e gusti, come l’acido o il piccante, si trasformano nelle nostre bocche, man mano che le papille fanno “esperienza”. Non è raro che bambini di uno o due anni vadano inspiegabilmente pazzi per il limone, ad esempio, salvo poi tornare alla “normalità” crescendo. La sensibilità alla capsaicina e quindi il gusto per il cibo piccante – che dipende dal numero di recettori nella bocca – sembra possa essere “addestrata” col tempo (di fatto uccidendo parte dei recettori, per cui ad un certo punto i cibi sembrano meno piccanti). E addirittura pare che questa esperienza, questo affinamento del gusto cominci anche in età neonatale. Sembra ad esempio che i neonati allattati al seno siano più propensi a provare ed accettare in seguito cibi nuovi rispetto a quelli nutriti col latte artificiale. Perché il sapore del latte materno varia a seconda di ciò che mangia la madre, mentre il sapore del latte artificiale è standardizzato ed in pratica non stimola il gusto del neonato più di tanto.
Insomma, per tornare al discorso, c’è un periodo della vita in cui decidiamo cosa ci piace e cosa no. E durante quel periodo cruciale può capitare che decidiamo che alcuni cibi non ci piacciono senza neppure averli mai assaggiati ma solo perché non gradiamo il loro colore, la loro consistenza, o anche per semplice ripicca verso chi tenta di farceli assaggiare.
Da questo periodo, che dura mediamente un decennio, usciamo quindi con una personale lista di cibi che non mangiamo. Badate bene, non si tratta di cibi che possiamo mangiare e che però non ci piacciono granché. Qui parliamo dei cibi off-limits, di quei cibi che “questo non lo mangio nemmeno se è l’ultima cosa rimasta da mangiare sulla Terra“. Quella lista lì. La lista dei cibi preferirei-morire-piuttosto-che-assaggiarlo.
Se siamo fortunati è una lista corta (che contiene la carne di cavallo, il fegato e l’albume crudo) ma in alcuni casi la lista è talmente lunga che è più semplice elencare gli unici cibi di cui siamo disposti a cibarci piuttosto che il contrario.

Ecco, parliamo di questa lista. Che contiene a volte alimenti ai quali siamo effettivamente intolleranti o allergici, ma che il più delle volte invece elenca cibi che rifiutiamo semplicemente di mangiare, che riteniamo contaminanti anche in modiche quantità, o cibi che una volta magari ci hanno fatto star male e che da allora in poi ci siamo categoricamente rifiutati di avvicinare.

Facciamo alcuni esempi, partendo dai panni sporchi di casa nostra e campionando a casaccio dalle liste idiosincratiche dei nostri amici e parenti: Clara non mangia l’aglio e qualsiasi piatto con cui esso sia entrato in contatto; non mangia la trippa, la lingua e buona parte del resto del quinto quarto degli animali. Io non mangio l’albume crudo, la mostarda di frutta e il gorgonzola piccante. Fra i nostri amici e parenti possiamo enumerare totale avversione per: il burro e qualsiasi cosa sia cotto con esso, i formaggi molli, la frutta in generale, qualsiasi formato di pasta, le marmellate coi pezzi di frutta, qualsiasi pesce eccetto il pesce spada, l’aceto balsamico, il parmigiano, la polenta, i peperoni, i cetrioli, i pomodori, la panna, i gamberi, il pollo, il latte. E questi sono solo un campione dei cibi assolutamente vietati.
Capite bene che avere a che fare con questi divieti, per chi si diletta di cucina, è una cosa talmente frustrante e stressante che può persino capitare che, ricordandosi all’ultimo momento che uno degli ospiti non mangia quel preciso ingrediente che avevamo pensato di usare quella sera, si finisca con ritrovarsi senza alternative e decidere sconfortati di ripiegare sull’infallibile piano B: prendere le pizze. Cosa non disdicevole per sé, sia chiaro, ma che rappresenta una scottante sconfitta.
Ma la domanda generatrice di questo post è: ammesso che per i più disparati motivi la nostra lista dei cibi off-limits sia anormalmente lunga (due o tre alimenti proibiti sono concessi, che diamine) è possibile riuscire a ridurla in età adulta? E se sì, (domanda retorica, ovvio che sia possibile) come ci si riesce? Vale la pena affrontare l’impresa?
Il critico gastronomico Jeffrey Steingarten, nel suo libro più famoso, “L’uomo che mangiava tutto” racconta di come, quando decise di diventare un critico gastronomico, dovette fare i conti con tutto ciò che fino ad allora detestava, dalle acciughe alle vongole, dal cibo greco ai dolci indiani. Detestare alcuni cibi e fare il critico gastronomico era inaccettabile, ovviamente, era come fare il critico d’arte sapendo di detestare il colore giallo, racconta. Dopo aver studiato a fondo il problema, decise che l’unico modo per cancellare dalla propria personale lista nera più voci possibili era quella di provare e riprovare a mangiare quegli alimenti, almeno dieci volte. Ovvero il metodo dell’esposizione prolungata, secondo il quale a furia di mangiare alcuni cibi si finisce con l’abituarsi ad essi. Il metodo (che funziona quasi infallibilmente coi bambini), a quanto racconta lui, funzionò quasi perfettamente (non riuscì a farsi piacere i dolci indiani né gli insetti…).
Ovviamente noi non siamo motivati come Steingarten, ma il metodo proposto ha una sua validità e la prospettiva di poter mangiare più cibi possibile, di poter vincere ad esempio la paura del cibo straniero che ci porta a cercare “lasagna” o pizza anche quando andiamo in vacanza in Turchia o Polonia vale da sola la pena di provarci.
Pensate poi alla soddisfazione che daremo quando saremo in grado di assaggiare qualsiasi piatto i nostri amici ci prepareranno.
Ecco. Facciamolo per loro, oltre che per noi stessi. Facciamolo per i nostri amici.
Fatelo per noi. Per piacere…