U cuddiruni

cuddiruniNon si finisce mai d’imparare, è proprio vero. Basta essere curiosi al punto giusto e saper ascoltare gli altri quanto basta. Perché non sai mai che universo può nascondere una persona e quante cose si possono scoprire stando a sentire quello che ha da dire. Certo, ci vuole anche una buona dose di pazienza, perché in questo ascolto collettivo può capitare di imbattersi in affetti da incontinenza verbale (mi piacerebbe assumermi la maternità di questa frase, ma purtroppo l’ha pronunziata quel figone di Colin Firth ne Il diario di Bridget Jones). Però, di citazione dotta in citazione dotta, un mio vecchio capo ufficio mi diceva sempre “Addina chi camina, s’arricuogghi ca vuozza china”, che in italiano fa più o meno così: “gallina che cammina, torna con la borsa piena”, a significare che se vai in giro a chiacchierare con la gente e ad ascoltarla, qualche notizia la porti sempre a casa o meglio, in redazione. E si sa che i vecchi detti nascondo spesso un alone di saggezza.

A volte anche i tuoi amici possono stupirti. Anche quelli che pensi di conoscere bene, coi quali sei cresciuto, dei quali conosci gusti e inclinazioni. O quelli che ormai lavorano e vivono lontano e tornano solo il breve tempo di una vacanza e tu pensi che ormai si siano dimenticati molte delle cose di quaggiù. E invece loro, quando meno te lo aspetti, quando siete tutti lì affaccendati a decidere cosa fare in un venerdì sera che fa caldo, però ci vorrebbe qualcosa di sfizioso da mangiare, ti calano con nonchalance l’asso nella manica: potremmo andare a Ciminna a mangiare u cuddiruni. Ecco. E’ di loro che dovete preoccuparvi, degli insospettabili! E dire che Ciminna è un paese che conosco, ci viveva pure una mia amica. Perché lei non mi ha mai parlato di questo cuddiruni? Cosa sarà mai?

Ormai il meccanismo curiosità-vogliadisperimentare si è già messo in moto e quindi i circa quaranta chilometri che ci separano da questa scoperta ci sembrano una bazzecola. E intanto il nostro amico trapiantato nel nord produttivo ci racconta che si tratta di una specie di pizza, che viene fatta bianca (senza pomodoro) o rossa, condita con acciughe, cipolle e caciocavallo. Io comincio a pentirmi di averlo ascoltato e penso con molta perplessità alla cena che mi aspetta. Ma ormai non posso tirarmi indietro. Così lo ordino bianco. IP sceglie quello rosso, tanto, come sempre, ce li divideremo.

cuddiruni

Quando arrivano in tavola, il profumo è davvero irresistibile. Cala un minuto di silenzio e anche noi scettici siamo conquistati da questo gusto saporito e deciso, da questo impasto morbido e gustoso. Questo accadeva un paio di anni fa. Da allora, ogni anno, ripetiamo con estrema soddisfazione il rito del cuddiruni. E io continuo sempre a preferire quello bianco. Che poi mangiarlo a Ciminna, dove sul far della sera cala una leggera brezza mentre in città si continua ad ardere, è anche piacevole e rinfrescante.

Se amate i sapori forti e decisi, assaggiatelo e poi fateci sapere. Quello che vedete nelle foto è il cuddiruni che noi abbiamo assaggiato quest’anno in famoso locale del paese ma a Ciminna lo trovate in tutte le pizzerie, dunque a voi la scelta.


13 thoughts on “U cuddiruni

  1. Io l’ho scoperto qualche settimana fa!!Mi sono trovata per caso a Ciminna per recuperare mia figlia da un’amica e la serata è finita nella pizzeria che domina il paese. Appena seduti, mi hanno detto che non potevo non provare la loro specialità e così pronumziarono quel nome “cuddirune”.Che delizia, morbido, saporito, intenso nel sapore…una vera prelibatezza della nostra terra!!!Qualche volta si va tutti insieme?

    • Mi sa che abbiamo mangiato proprio nello stesso posto e la tua descrizione di questa bontà è perfetta!! 🙂 Certo che ci torniamo tutti insieme, ogni occasione è buona! Bacio

    • Mi ci tirate per i capelli a contribuire a integrare le notizie sul “u cuddiruni” (singolare) “i cuddiruna”(plurale). Il mio maestro di scuola in italiano definiva “u cuddiruni” focaccia e non pizza. A casa mia e nella maggior parte dei vicini di casa a Ventimiglia di Sicilia (7 km da Ciminna e 10 da Villafrate) si facevano “i cuddiruna” come un pasto che sostituiva velocemente il normale pranzo o cena che non si poteva preparare quando si faceva il pane in casa ogni quattro giorni o settimana. Nella fatta ispecie il pane che si faceva in casa era rigorosamente di farina di grano duro rimacinata. Siamo già negli anni 60. Con la farina rimacinata il pane di grano duro veniva bianco anche per le massaie che facevano ancora il pane in casa. Prima del rimacinato il pane veniva più scuro forse per una maggiore presenza di crusca (ma questa è un’altra storia). Ma che c’entra il pane con il “cuddiruni”? C’entra perché un momento prima di mettere nel forno il pane in pasta di farina di grano duro, lievitato al punto giusto per fare il pane, si sceglieva una o più “vastedda” e si riduceva di spessore più o meno un centimetro e infine con i polpastrelli delle dita si finiva le porzioni con un filo d’olio d’uliva e si metteva nel forno ( la preparazione del forno a legna per infornare il pane o “i cuddiruna” è un’altra storia). A questo punto entra l’usanza della massaia. Guarnire “u cuddiruni” come si crede con gli ingredienti: acciughe, aglio, cipolla, pomidoro, ricotta, salumi, etc…Secondo me guarnire prima della messa a forno è a mo’ di pizza ed è un’usanza degli ultimi tempi. Se si guarnisce, come faceva mia madre, è a mo’ di focaccia ed è altrettanto buona. “U cuddiruni” è nato per soddisfare un pasto veloce e subito da consumare senza aspettare molto come il pane che doveva raffreddare almeno un’ora e mezzo prima del consumo. Ė tipico prodotto dell’economia familiare agricola dei paesi di riferimento. La zona citata è lungo la scorrimento veloce Palermo – Agrigento a meno di 45 km da Palermo.
      Ciao Michelangelo

  2. Eh va bene, ci credo che era buono, fa venire l’acquolina dal video!
    Ma ora dovreste mettervi di impegno e dirci come si fa, c’è anche chi non ce la fa a fare un salto a Ciminna, così, sui due piedi!
    Forza, liberate le galline ; )
    saluti Su

      • Bene, brava! w le galline!
        Ma sai che ieri sera ho sfogliato un libro preso dalla mia libreria guardo qua e là e mi cade l’occhio su “incontinenza verbale” e mi dico, ma questa l’ho già sentita…
        Beh, il libro è di Sivananda (maestro yoga) ed è un testo sulla meditazione.
        vedi che combinazione,
        ari-saluti
        Su

  3. Permettetemi, peraltro, di aggiungere una nota folkloristica sul “cuddiruni”. E’ probabile (ma lo desumo dopo aver letto di questo di Ciminna, che non conoscevo) che il “cuddiruni” interpreti zona per zona una variante della pizza classica. Quello di Ciminna, per l’appunto, è quello descritto da Clara (che, come dicevo, non conosco e che proverò – spero – presto).

    Ma posso dare il mio contributo raccontandovi che il “cudduruni” (molto simile nella pronuncia e per questo probabilmente di uguale origine) lo trovate anche a Siculiana, paesino in provincia di Agrigento (paese natale di mio padre).

    Conosco questa specialità sin da quando ho ricordi, da bambino, perché mia nonna usava prepararlo ad ogni riunione familiare che vedesse riuniti più di venti componenti della numerosa famiglia paterna.

    Piuttosto diverso, questo “siculianese”, rispetto a quello di Ciminna, ma con evidenti punti in comune.

    Si presenta come una pizza chiusa, quindi con uno strato di pasta sotto ed uno sopra, a tener chiuso il condimento.
    La “farcia” è composta da uno strato di patate (leggermente sbollentate) tagliate a fette e dei filetti di acciuga, cipolle, pomodoro e primo sale fresco, il tutto disposto a strati (un solo strato) con le patate e le acciughe a ricoprire il fondo, a seguire cipolle formaggio e pomodoro. Una delizia rara da trovare proprio perché localizzata in un piccolo paese, esattamente come nel caso di Ciminna, e la cui ricetta originale è ormai in possesso di poche famiglie ed un paio di ottimi panettieri.

    Buon appetito e scusate se mi sono dilungato, ma leggere questo articolo mi ha riportato indietro di venti anni…
    Luigi

    • Caro Luigi, che fame che mi hai fatto venire! Questa variante sembra altrettanto appetitosa. Magari se riesci a recuperare la ricetta, si potrebbe anche provare a farla a casa. Si, dai!

      • ieri sera ho subito condotto un’indagine familiare per sapere chi aveva avuto in lascito la ricetta della nonna e… eccola qua:

        INGREDIENTI:
        1 Kg di semola
        500 gr. di acqua
        25 gr. di lievito di birra
        20 gr. di sale
        4 cucchiai di vino bianco o rosso
        4 cucchiai di olio EVO
        6 patate
        6 cipolle
        12 filietti di acciughe (facoltativo)
        1 latta di pomodori a pezzetti
        300 gr. di tuma fresca
        Origano
        Grana/Pecorino
        Pan grattato

        PREPARAZIONE:
        Disporre la semola a fontana, sbriciolare il lievito e scioglierlo con una parte dell’acqua leggermente scaldata.
        Aggiungere il lievito sciolto al centro della semola a fontana, aggiungere il vino, l’olio (sostituibile con lo strutto!), l’acqua restante (tiepida), il sale ed impastare.
        Lasciare lievitare l’impasto dalle 3 alle 5 ore
        Affettare le patate a fettine sottili (consiglio si sbollentarle, già tagliate, per 3 minuti in acqua bollente).
        Affettare le cipolle molto sottili e metterle sotto sale. Lasciarle sotto sale per mezzora, poi sciacquarle abbondantemente sotto l’acqua corrente e strizzarle.
        Dividere la pasta lievitata in due (60% – 40%). Stendere la parte più abbondante (60%) come base. Coprire il fondo con le patate e con le acciughe (se si sceglie di utilizzarle) avendo cura di lasciare i bordi liberi per poterli ripiegare sulla parte superiore dell’impasto.
        Aggiungere poi il pomodoro a pezzetti, spolverare di origano, aggiungere le cipolle e la tuma a fette e spolverare con grana/pecorino.
        Stendere l’altra parte dell’impasto (40%) lievitato ed utilizzarlo per coprire il tutto, ripiegando il bordo della parte inferiore dell’impasto sulla parte superiore.
        Bucherellare con una forchetta la parte superiore dell’impasto ed aggiungere una spolverata di pan grattato con un filo d’olio.

        Infornare a forno già caldo a 200° per circa mezzora, avendo cura che il calore sia uniforme sopra e sotto.

        A cottura ultimata tirare fuori dal forno ed avvolgere la teglia, coperta con carta alluminio, in una tovaglia da tavola o una coperta di lana.

        Lasciare riposare un paio d’ore, poi scoprire, tagliare a pezzi e servire.

        Buon appetito!

        • Ciao Luigi, anche io ho origini siculianesi e nonne e zie ci hanno sempre accolto a cuddiruni e ‘mpugliulati.
          Nella ricetta del cuddiruni, che io ho amorosamente ereditato, nella mia famiglia ci sono delle piccole varianti che vi invito a provare: si usa abbondante pecorino grattugiato al posto del primosale (lo metto sullo strato di sotto prima di mettere patate, cipolle, pomodoro e acciughe, assorbe umidità, evitando di “ammollare” la parte inferiore e aggiunge sapore), e prima di chiudere con lo strato di impasto superiore. All’imbottitura da noi aggiungiamo diverse foglie di basilico fresco. Provate assolutamente, è sublime!
          Buon appetito a tutti!

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