A Muntagna incantata

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Non sono una esperta di vini ma mi piacciono quelli che raccontano una storia. Perché spesso dentro ad un calice c’è molto più di quanto non siamo in grado di comprendere al solo assaggio. E non mi riferisco ai sentori di frutti rossi o di miele, all’acidità o ai tannini. Penso piuttosto alla vita di cui narrano, ai sacrifici, alle scommesse vinte. Ma anche a quanti si sono dati il cambio, negli anni, in quella vigna, a quanti l’hanno curata con dedizione perché desse il meglio di sé, perché un buon vino – dicono quelli che ne capiscono – si fa direttamente in vigna.

Sono reduce da un paio di giorni trascorsi sul versante nord dell’Etna. Ecco, se come me, amate i vini che raccontano una storia, il vulcano alle porte di Catania è il posto giusto per voi. A patto, naturalmente, che sappiate cercarli tra i tanti che, ormai, vi si producono.

Negli ultimi anni, infatti, a Muntagna, come la chiamano i suoi abitanti, è stata meta di colonizzatori di ogni tipo. I vini dell’Etna piacciono in Italia e anche all’estero e molti produttori si sono lanciati alla conquista dei vigneti che ne costeggiano le pendici. Il vulcano è diventato una specie di El Dorado per gli amanti del vino, con alterni risultati.

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Ho assaggiato vini perfetti, così perfetti da stonare a tratti con l’asprezza del territorio e vini ruvidi come il terreno lavico su cui crescono le vigne.

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Ho visto vigne giovani, reimpiantate di recente in terreni antichi divisi in due dalle colate laviche e ho visto vigne centenarie con viti rugose e nodose, affascinanti come un’opera d’arte scolpita dal tempo.

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Sono stata in vigne fino a 1.300 metri di altitudine sulle quali veglia la cima della Montagna innevata. Un silenzio interrotto solo da qualche cinguettio e lunghi filari di paletti in castagno ai quali si appoggiano le viti piantate ad alberello a caratterizzare il paesaggio. A questa altitudine, fare il vignaiolo non è facile. Non ci sono mezzi meccanici ad aiutarti. Al massimo un mulo può venirti in soccorso. Tutto viene fatto a mano, seguendo le stagioni e i naturali cicli della pianta.

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A guardarla adesso, dalla collinetta sovrastante, con una leggera pioggerella che cade e le nuvole che coprono la cima del vulcano, questa vigna ha un che di spettrale. Tutti questi paletti in castagno piantati parallelamente fanno pensare quasi ad un cimitero. E invece è un posto in cui la vita cresce da più di un secolo e tra qualche mese darà nuovamente i suoi frutti. E’ una delle vigne centenarie dell’enologo Salvo Foti.

l'enologo Salvo FotiSalvo Foti è l’Etna, come hanno detto i miei compagni di viaggio dopo averlo conosciuto. Catanese di nascita, conosce il vulcano come le sue tasche. Ama profondamente il suo lavoro e forse, ancora più profondamente il territorio. Avere la possibilità di fare un giro per vigneti con lui come guida è stato davvero un privilegio. Sentirgli raccontare della costruzione dei terrazzamenti, necessari per la coltivazione dei vitigni autoctoni sulle pendici del vulcano, sentirlo parlare della coltivazione ad alberello, di quando al lavoro sull’Etna non credeva più nessuno tanto da costringerlo a cercare fortuna in Australia, è stato profondamente istruttivo.

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Lui è memoria e natura. Cosi come i filari di vite disposti secondo lo schema del quinconce, già conosciuto dai Romani, una sorta di griglia ritenuta il miglior modo di disporre tra loro le piante e, grazie alla quale, il vigneto risulta simmetrico a prescindere dalla conformazione del terreno e i filari formano delle linee rette, qualunque sia l’angolo dal quale si guardi.

Questo, secondo Foti, è il modo più efficace di coltivare la vite sull’Etna. Per farlo ci vogliono esperienza e maestria che, col tempo, sono sempre in meno a possedere. Per questo ha pensato di creare un corso di formazione, una sorta di scuola, nella quale si insegnano le tecniche viticole in uso sull’Etna e per accedere al quale non è necessario possedere esperienze pregresse. Si lavora in vigna al fianco dei viticoltori per imparare a gestire un vigneto coltivato ad alberello etneo. Si fa pratica ma anche teoria, studiando argomenti come estetica ed eccellenza dell’alberello etneo, l’impianto del  nuovo  vigneto, cure del terreno, conoscenza delle malattie, trattamenti  fitosanitari  e  precauzione nell’uso  di  tali prodotti. Poi, nella giusta stagione, si va in vigna e si zappa, si pota, si innesta. E poi si vendemmia.

I suoi vigneti ospitano Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, Carricante, Alicante e tutti i vitigni autoctoni della zona. Uve bianche e uve rosse convivono nella stessa vigna così come viti giovani e centenarie, “proprio come succede ogni giorno nella nostra vita, nella società, dove convivono vecchi e giovani”.

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Quando un produttore come Foti vi riempe un calice con uno dei suoi vini, non potete fare a meno di accomodarvi e lasciare che il vino faccia il suo corso, raccontandovi tutta la magnificenza d’a Muntagna.


2 thoughts on “A Muntagna incantata

  1. ecco, io sono una che i vini non li beve perchè non li può bere per questioni di salute, ma li ho bevuti, e con gran gusto, fino a 3 anni fa.
    tutto il resto continua ad affascinarmi parecchio, vado ancora alla vendermmia degli amici del babbo in Toscana e mi perdo tra quel profumo di uva e di cantine che riempie l’ aria. così come mi son persa in questo post : )))

    • Ecco, il prossimo anno mi sa che una bella vendemmia me la faccio pure io, se ci riesco. Deve essere un’esperienza molto interessante. Un abbraccio signorina 🙂

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